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Interviste Interviste agli artisti

Intervista al Writer Davide Ratzo

Davide quando e come hai iniziato ad esprimere la tua arte? Ci racconti il tuo percorso artistico?

Ho iniziato ad esprimermi artisticamente da piccolo, mi ricordo che bruciavo le cose, tipo le bottiglie di plastica e trovavo fantastico il potere deformante del calore. Era meraviglioso vedere come si potesse plasmare la materia anche a proprio rischio e pericolo… insomma ero una sorta di piromane che una volta stava per dare fuoco al divano, ma già per me era una forma di espressione.
Poi scoprii piano piano altri sistemi meno dannosi per la salute e l’ambiente per esprimermi, ma ero già abbastanza grandicello tipo avevo 13 anni, andavo alle medie e scoprii di essere in grado di disegnare Lupo Alberto (personaggio di un fumetto di Silver) ed eguagliavo in bravura quello “bravo” della classe.

Per cui da qui il liceo artistico fu una scelta obbligata, con grande disappunto della mamma che mi voleva dottore, ma come si dice: al cuor non si comanda, per cui… andai anche in accademia di belle arti sempre a studiare pittura ed arte contemporanea.
Durante questo percorso di studi stavo già lavorando con un altro pittore ed artista noto nell’underground milanese Marco Teatro, con il quale potei applicare molte delle nozioni imparate nel mondo del lavoro. Ma la fame di conoscenza non si fermava e decisi ad un certo punto di affrontare il mondo del Web facendo un corso di alcuni mesi come web designer e lavorando nel settore per un periodo. Questa scelta fu motivata da diversi fattori: il lavoro altalenante, una compagna amante della tecnologia ed il boom di richieste di quel periodo. Poi passai alla motion graphics ed avendo dato una tesi di laurea sulla storia del fumetto, perché non provare alcuni corsi anche in quel senso? E così fu…

Diciamo che se mi piace qualcosa che vedo, cerco di imparare a farlo e se non ci riesco faccio un corso dedicato per comprenderne le tecniche.
Per farti capire, mi piacciono i musei ed ho fatto un corso di aggiornamento sulle politiche di investimento culturale (funzionamento dei musei, economia dell’arte, sistema delle gallerie, sistema delle collezioni, delle fiere, delle fondazioni, dei free press e degli eventi off).

Nella realizzazione di un Pezzo a cosa ti ispiri? Dove nasce l’idea? Quale processo creativo utilizzi solitamente?

E’ difficile rispondere, solitamente progetto a tavolino con cura assieme ai miei complici, amici e compagni il da farsi. L’ispirazione spesso è di tipo storico o molto più comunemente mi piacciono gli animali e mi piace disegnarli. Il confronto con gli altri però è quello che da sempre da i risultati migliori. Il muro dedicato a Fausto e Iaio a Milano è per me uno dei lavori meglio riusciti. Per farti capire eravamo un gruppo di 5/6 persone fin dai primi momenti di progettazione, ma soprattutto arrivavamo da diversi percorsi individuali (Calligrafia, Writing, Pittura realistica) eravamo anche tre gruppi ben distinti ad unire le forze. Ultimamente la pittura votiva (ritratti di persone morte da poco o commemorativa) mi sta dando da fare.

Solitamente quando dipingo animali cambio loro i colori cercando degli abbinamenti sgargianti dove possibile o che abbiano una forza tutta loro.
A volte lavorando in pubblico mi faccio condizionare dalle persone e modifico o realizzo soggetti in accordo con i passanti, mi piace sapere che quello che è sul muro da gioia alle persone o che le faccia pensare, in qualche modo riflettere.

Ti riporto un aneddoto per farti capire: stavamo dipingendo a Niguarda con il giro VolksWriters una murata dove sul lato destro è raffigurata una barricata con alle spalle asserragliati un gruppo di partigiani. In cima a questa barricata è presente una bandiera italiana a colori. Ecco per come sono fatto io, che non sono molto avvezzo al senso della nazione, non l’avrei mai dipinta colorata ed invece… invece durante la realizzazione passò un signore anziano che chiese con una certa insistenza di farla colorata dicendoci anche che lui era li… le bandiere le portava lui alle barricate nel 1945, strappando i simboli sabaudi dalle bandiere che trovava in quartiere e le portava alle barricate. Aveva poco più di 12 anni ma che se lo ricordava come fosse ieri. Cosa avremmo potuto dirgli? Come avrei potuto controbattere? In più aveva fatto il designer per anni prima di andare in pensione ed a ragion veduta sosteneva che i colori avevano un abbinamento azzeccato.

Ecco penso che tecnicamente non sia uno dei miei lavori figurativi migliori, ma sicuramente uno di quelli che mi ha lasciato uno dei ricordi più forti e sentiti. E’ ancora oggi di grande importanza per il quartiere e per la scena politica ed il gruppo di lavoro in se fu fantastico.
La cosa più assurda fu che, nonostante fosse un lavoro perfettamente in regola con tutti i permessi del caso, venimmo interrotti più volte da differenti forze dell’ordine perché chiamati dal consiglio di zona accanto che non era d’accordo con quello di Niguarda. Ogni volta presentavamo tutti i permessi e le autorità se ne dovevano andare con un sorriso amaro sul volto. Agli ultimi che arrivarono glielo facemmo presente e loro ci spiegarono che lo sapevano, ma che dovevano uscire comunque perché interpellati dal consiglio di zona adiacente. Oh, li chiamarono tutti, compresa la guardia di finanza, uno differente ogni giorno… ed il lavoro terminò comunque.
Penso inoltre che sia una delle opere che è meglio riuscita per il suo dialogo con la città, è stato rovinato più volte e più volte ripristinato, ancora oggi se rimani nei suoi paraggi per più di mezz’ora e fai gesti non chiari, magari toccando il muro qualche abitante ti chiede chi sei e cosa ci fai da quelle parte, proprio per timore che venga ancora rovinato. Pensa che addirittura una società che si occupa di conservazione e restauro dell’arte contemporanea lo ha attenzionato per capire come preservarlo in futuro…. per cui abbiamo tutti i rilevamenti tintometrici del colore e quelle che sono le anomalie della parete spiegate per filo e per segno.

“A volte lavorando in pubblico mi faccio condizionare dalle persone e modifico o realizzo soggetti in accordo con i passanti, mi piace sapere che quello che è sul muro da gioia alle persone o che le faccia pensare, in qualche modo riflettere.”

Davide Ratzo

Quali tecniche prediligi utilizzare nelle tuo opere? La domanda collegata sorge spontanea; quanto è ed è stato importante per te sperimentare? Vi è stato un punto di svolta nella tua tecnica?

Diciamo che la tecnica che più mi è consona è la figurazione più o meno in qualunque suo tecnica. Dall’acquarello allo spray passando per l’acrilico ed il pennarello… ovviamente le matite, anche l’olio lo uso ma non mi fa impazzire, ci mette tantissimo ad asciugare e poi diciamoci la verità: puzza.

Per me la sperimentazione ha avuto il suo apice in università, dove il dripping ed il collage facevano da padrone. Ma ho avuto anche la possibilità di dipingere con le fiamme su carta fotosensibile e ciò mi ha dato una certa sensazione di piacere. Sperimentare l’organizzazione di happening sia in accademia (senza l’ok del rettore) che al di fuori, che poi sono diventati una sorta di cruccio. Ancora oggi porto avanti un festival chiamato FDA che si svolge a Gratosoglio a Milano nel mese di Settembre ed è un festival di arte varia.

Punti di svolta nella tecnica ce ne sono stati ogni volta che ho scoperto nuove tecnologie: le bombolette, i pennarelli, le stampe plotter, i programmi di disegno, le tavolette grafiche…insomma ogni nuova tecnologia per me apre un mondo di possibilità che non posso ignorare più di quel tanto.

Poi le svolte maggiori anche tecniche ed artistiche le ho avute grazie alle persone, ai miei compagni di viaggio: i Volkswriters, l’associazione Artkademy con Ivan il poeta che svolge un ruolo di promotore culturale, i Centri sociali che sono sempre stati un luogo di sperimentazione e confronto, le band punk con le quali ho suonato per anni assieme alla mia gli RFT ed oggi la scuola come docente.

Quanto avere modo di rapportarti con altri artisti ti è utile per avvicinarti ad approcci e tecniche artisticamente differenti?

Beh direi che è fondamentale ma spesso molto complicato… non tutti gli autori sono maestri anzi, solitamente sanno essere molto gelosi della propria tecnica, ne fanno tesoro, la capitalizzano.
Io questa cosa non ce l’ho devo essere onesto… se mi capiti a tiro mentre dipingo ed abbiamo finito il lavoro sono uno che ti spiega, ti racconta, ti fa provare insomma ti “tiro in mezzo” quando posso.

Che ricordi hai del tuo primo Pezzo? Quanto sei cambiato artisticamente rispetto agli ultimi?

Beh il primo pezzo fu realizzato dietro il liceo, con bombolette sottratte ad un supermercato nel ’94 assieme ad un amico e compagno di liceo Kalimero. Che ridere se ci penso… fu il primo ed ultimo che feci per un sacco di anni. Considera che io non ho una tag vera e propria e non firmo quasi mai i miei lavori e quando lo faccio si vede che ha firmato un disgrafico.

Direi per questo che sono cambiato molto dai miei 14 anni ai miei 41, non rubo più i colori, me li regalano e spesso ho difficoltà ad immagazzinarli. Non avrei comunque mai immaginato di dipingere in corteo anche se il pallino della pittura di protesta l’ho un po’ sempre avuto. Sicuramente è cambiato il modo di intendere l’arte in se da un gesto puro e semplice ad un’unione di motivazione e tecnica. Non so se mi spiego?

Negli ultimi anni gli spazi per creare sono aumentati, dai Muri Liberi ad alcuni permessi concessi dai vari Comuni. Pensi che sia ancora migliorabile questo processo di espansione? Si potrebbe snellire la burocrazia? Cosa manca ancora secondo te per dare maggiore spazio agli artisti?

Beh sicuramente per dare maggiore spazio agli artisti servirebbero dei luoghi di promozione e vendita dell’arte che siano accessibili per gli autori.

Mi spiego? Quando una fiera d’arte ti costa 1500 euro al metro quadro per 4 giorni di fiera o sei nato ricco o non ci puoi partecipare, fine del discorso. Anche se chiedi un finanziamento in banca te lo devi poter permettere (ossia avere un altro lavoro per pagare il debito). Questo per le fiere milanesi, già se ti sposti a Livorno come per “la quadrata” o “la rotonda” i costi per partecipare calano ma calano anche i prezzi delle opere.
Quello che non viene spesso preso in considerazione è il valore di indotto, cerca di seguirmi: vai a vedere una mostra, poi magari vai nel pub nei pressi a fare un aperitivo, e perché no, finisci la serata a mangiare una pizza con gli amici prima di spostarti.
Ecco l’indotto è tutto il movimento economico che si genera perché tu vai in quella zona a fare qualcosa d’altro, poi di conseguenza consumi li… un esempio ben riuscito è il museo Guggenheim di Bilbao. Bilbao non è Londra o Milano eppure grazie alla collezione Guggenheim vive un maggiore afflusso di turismo.
Se venisse presa in considerazione di più questo aspetto, magari gli spazi espressivi potrebbero essere meno cari o gratuiti.

Un altro esempio virtuoso che sfruttò la questione dell’indotto economico era Paratissima di Torino ora non so più bene come funzioni. Un tempo era un evento OFF di Artissima, ma non aveva costi esorbitanti per gli autori.

Sicuramente gli spazi sui muri hanno contribuito alla circuitazione delle arti ed al miglioramento del lavoro degli artisti, i quali si possono fare pubblicità gratuitamente, possono provare nuovi stili e tecniche, ma penso che ancora il valore reale delle arti sia di bassa considerazione in Italia. Molto probabilmente perché ne abbiamo troppa. Se si espropriassero al Vaticano le sue bellezze e le si vendessero a collezionisti facoltosi, ci ripagheremmo il debito che hanno contratto negli anni con l’Italia senza pagare l’IMU e le varie vittime di pedofilia eclesiastica avrebbero un risarcimento. Così probabilmente avremmo anche più spazi per la nuova espressione artistica. 🙂

Penso anche che dei programmi di istruzione per favorire i viaggi all’estero sotto i 35 anni di età, possano permettere un’esportazione di arte e di artisti che valorizzerebbe la situazione attuale.
Si è vero ci sono gli Erasmus per universitari ma anche li devi poterti permettere di stare fuori dalla tua nazione…
Vedi un anno ho conosciuto un tizio a Venezia era un australiano in giro per il mondo perché nei programmi di studi nazionali era previsto che i neo maggiorenni avessero una dote economica da spendere per i viaggi all’estero. Questo aiuterebbe… anche solo a scoprire cose nuove.
Ora come ora molte persone lavorano da casa (nel mondo dell’illustrazione) ma i clienti che pagano sono stranieri.
Io per primo ho venduto online alcuni quadri un paio di mesi fa, persone che non ho mai visto in faccia e non saprò mai chi sono… hanno pagato quello che volevo e si sono comprati quello che mi piaceva dipingere. Fine.
Sono certo che non vivono in Italia perché la spedizione era indirizzata a Londra.

Molto probabilmente anche la gratuità dei luoghi dedicati alla cultura, come i musei, potrebbe rendere maggiormente valore al lavoro svolto dai giovani artisti e pure a quelli vecchi… la biennale d’arte di Venezia è meravigliosa ma ha un costo alto e probabilmente se fosse gratuita sarebbe vista ancora da più persone (poi entrano in ballo problemi gestionali che vengono arginati dal prezzo dei biglietti, ma è un altro argomento in toto). La gratuità dei musei e dei luoghi di cultura, con magari un supporto nazionale alla promozione dei programmi proposti, garantirebbe un miglioramento delle tecniche, aumenterebbe la capacità di confronto, favorirebbe la ricezione di spunti creativi ma anche di senso critico.

Invece nella nazione Italia avere un luogo nel quale vai a fare un aperitivo dopo avere visto senza impegno una raccolta di quadri di Hayez (per fare un nome a caso del patrimonio nazionale ma potrebbe essere Caravaggio o qualunque street artist sulla cresta dell’onda) pare una roba da film di fantascienza. Ovvio, nessuno ti paga per allestire una mostra se non garantisci un certo rientro economico e da questo ragionamento arrivano le mostre della pixar… bellissime, ma ci vanno le famiglie coi figlioletti, alcuni amanti del genere (come il sottoscritto), addetti al settore che vedono come investimento personale la visione della mostra. Sta di fatto che tagli fuori dal grande pubblico autori come Anish Kapoor che invece fa un operazione molto meno commerciale e più dedicata alla ricerca emotiva sensoriale (nome che conoscono in pochi e spesso di settore), il quale magari da degli spunti in più rispetto al carachter design.

È difficile trovare mostre di fumetto gratuite a meno che non si parli di fiere dedicate (comunque a pagamento), non ci sono ampi spazi nei musei dedicati all’arte contemporanea con un programma chiaro e visite gratuite. Per trovare questo, spesso devi andare all’estero, ma hey! Sei a Londra e sai che possiamo fare in pausa pranzo? Farci un fish and chips (bleah!) passeggiando per la Tate Gallery tanto è free… o magari possiamo fare un salto alla collezione Saatchi (maxi raccolta di arte contemporanea) che pure quella pare gratuita… ecco tutto questo non avviene in Italia e non con quella mole di immagini. Questo per evidenziare il fatto che pure i liberisti nostrani sono abbastanza pirla su questo fronte.


“Per dare maggiore spazio agli artisti servirebbero dei luoghi di promozione e vendita dell’arte che siano accessibili per gli autori.”

Davide Ratzo

Cosa consiglieresti a chi ha vena artistica, per esprimere al meglio il proprio potenziale. Chiaramente è soggettivo, ma tu cosa suggeriresti di fare e di non fare?

Io suggerisco sempre di non chiudersi nella tecnica pura e semplice. Molti autori sono già bravissimi all’età di 17 o 18 anni, hanno fatto scuole professionali di illustrazione o fumetto, disegnano e dipingono come delle mine in esplosione creativa continua, ma hanno l’elasticità mentale di un pittore di fine 800. Tutto questo senza alcun ragionamento alle spalle o perdendosi esempi di raffigurazione che hanno condizionato il mondo della comunicazione e della tecnologia visiva negli ultimi 200 anni.
Queste scelte spesso generano poca coscenza del valore del proprio operato ed i nuovi autori vengono buttati a capofitto nel mondo del lavoro dove si è disposti a tutto pur di pubblicare. Ciò sminuisce il proprio lavoro e quello altrui. Senza considerare il logorio nel lungo termine.

Spesso la ricerca e l’espressione artistica sono frutto di anni di studi e critica feroce alla società, perché le arti rappresentano per tecnica o contenuto il mondo nelle quali nascono.
Se si perde il senso critico si perde la coscienza di quello che stiamo vivendo e lo strumento dell’arte non può rispondere solo ed esclusivamente alla logica di “domanda ed offerta” del mercato. Dico questo perché le arti in toto ci distinguono dagli animali, abbiamo della materia grigia in più per poterci esprimere e non ridurci alla mera logica di consumo e sopravvivenza della specie.

Non penso che ci sia una via univoca, ma arte è conoscenza innanzitutto e senza sperimentazione non c’è scoperta, se ci aggiungiamo lo slogan “senza storia non c’è memoria” abbiamo chiuso un buon quadro logico di intenti.
Allora forse vale la pena provare differenti strade anche solo per cercare di capire per quale ragione agli inizi del 1900 il dadaismo mette un cesso in un museo e la street art mette illustrazione, pittura, calligrafia e scultura di alta qualità sui muri delle città agli inizi del 2000.
Sono operazioni di tipo situazionista che decontestualizzano l’arte e modificano il valore di ciò che si vede in base al luogo nel quale sono poste.

Altra questione è la valorizzazione di se, l’incoraggiamento del proprio istinto, anche a scapito di quello che ci viene detto o che si ritiene essere opportuno.
Affrontare il mondo di internet come una risorsa sia economica che culturale.
Un consiglio è sicuramente di provarci, di provare a fare quello che non si sa fare e, magri di provare a fare quel corso online che ti sarebbe piaciuto provare… Oh magri hai buttato nel water 250 euro ma almeno ti sei tolto lo sfizio di capire come si fa e se ne sei portato…
Se poi si pensa ad un percorso di vita dipende sempre dalla propria vocazione: seguirla, comunque e si saprà fare qualcosa che altri ignorano.


Grazie a Davide Ratzo per la disponibilità nel raccontarci la sua esperienza artistica.



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