Wiz quale è stato il percorso che ti ha portato a diventare l’artista che sei adesso?
Ho incominciato nel 1999 con una mia compagna di classe senza avere la minima idea che i graffiti potessero diventare la mia vita. Avevo da poco incominciato ad avvicinarmi all’hip hop insieme a lei, ascoltando Colle der Fomento e Cypress Hill, i pochi graffiti presenti nella mia città in quel periodo mi incuriosivano e in pochi mesi il passo verso l’acquistare gli spray è stato breve. Entrambi senza la minima idea di cosa scrivere, la scelta è caduta su quello che era il mio soprannome nella vita quotidiana: WIZ.
La delusione di non riuscire a realizzare con gli spray qualcosa che potesse essere considerato apprezzabile è stata alta dopo i primi 3\4 pezzi realizzati nell’estate del ‘99. Una vera delusione, ma semplicemente la conseguenza dell’utilizzo di spray comprati al supermercato e nessuna conoscenza dell’uso di tappini specifici. La fortuna era però dalla mia parte: a settembre ho cambiato scuola e sono finito in classe con Ventre, un writer che aveva quella poca esperienza in più di me necessaria ad avvicinarmi al vero mondo dei graffiti. Sapeva dove comprare le Hardcore (il negozio più vicino a casa mia distava circa 30 km) e sapeva che esistevano tappini skinny e fat: un notevole miglioramento. Libri di scuola, banchi, sedie, quaderni diventarono da lì a poco il mio black book: non passava giorno che non sfornavo almeno un paio di bozze a colori.
Con lui però non c’è mai stato un vero e proprio inizio a fare pezzi in giro, predominavano le bozze. Il vero inizio è stato con 2 ragazzi che giocavano a basket con me, che mi invitarono a dipingere con loro una sera, insieme a un loro amico. Era la primavera del 2000: non ho più smesso!!! Con 2 di questi 3 dipingo tuttora.
All’inizio la parte illegale ha preso il predominio in tutte le sue sfumature, però non ho mai disdegnato partecipare ed organizzare eventi di graffiti.
Nel 2012 la svolta che ha segnato la mia vita artistica: ho sempre lavorato come commesso in un negozio d’abbigliamento, avevo un contratto a tempo determinato e quello avrebbe dovuto essere il mio lavoro per il resto della mia vita. Però non faceva per me! Ho preso 6 mesi di aspettativa e ho fatto un’esperienza di volontariato in un orfanatrofio in Tanzania, al Villaggio della Gioia di Padre Fulgenzio: uno shock positivo! Lì ho maturato l’idea che nella vita avrei voluto fare ciò che mi piaceva, quindi la decisione di provare a fare diventare il writing il mio lavoro. E per mia fortuna, l’idea si è rivelata molto azzeccata: dal 2013 ho fatto diventare la mia passione (i graffiti) la mia professione.
Oltre al lettering, un po’ per necessità e poi per scelta, ho incominciato a dedicarmi seriamente al figurativo, che prima era sempre stato in secondo piano nelle mie opere. Ho incominciato a lavorare sempre di più con le amministrazioni comunali e per committenti privati, organizzare workshop per bambini e ragazzi, fare esibizioni di live painting durante eventi locali e ho iniziato a lavorare anche in studio su tela.
Non mi considero e non mi considererò mai un artista arrivato, cerco sempre di migliorarmi, di sviluppare e impreziosire il mio stile, con una costante ricerca di nuove idee e stimoli.
Nella realizzazione di un Pezzo a cosa ti ispiri? Dove nasce l’idea? Quale processo creativo utilizzi solitamente?
Principalmente mi ispiro ai viaggi che faccio in giro per il mondo e alla mia personalità, ma anche alle persone che conosco, ai fatti di attualità, a ciò che scorre sul web. Mi è sempre piaciuto però improvvisare, in base alla stato d’animo del momento, senza dover rispettare regole o metodi precisi. Sono abbastanza insofferente verso ciò che mi viene imposto a priori, se non rispecchia le mie idee.
L’idea di ciò che realizzo, quando ho carta bianca, nasce spesso dalla mia personalità e dalla mia visione del mondo: mi è capitato molto spesso di realizzare opere che si focalizzano contro il razzismo e a favore dell’uguaglianza, senza proclami troppo diretti, ma lasciando capire il messaggio che voglio lanciare a chi lo vuole e lo sa capire.
Non utilizzo uno schema fisso nel progettare le mie opere: generalmente sviluppo l’idea nella mia testa, durante la giornata, poi la riproduco o facendo uno schizzo su carta o cercando nel web immagini da cui prendere spunto per realizzare ciò che ho in mente.
Per quanto riguarda il lettering, generalmente parto da un bozzetto realizzato meticolosamente a matita su grandi fogli di carta, per poi lasciare libero spazio alla mia creatività una volta davanti al muro o alla tela: la scelta dei colori, come abbinarli tra loro, i particolari da inserire, tutto ciò mi viene istintivamente davanti all’opera in corso di realizzazione.
Per quanto riguarda il figurativo, generalmente cerco sul web immagini che si avvicinano all’idea che ho in mente, oppure cerco tra le mie foto che ho scattato durante i miei viaggi, per poi rielaborarle a mio piacimento. Ultimamente mi piace molto dipingere volti di ragazze, basandomi su foto che trovo nel web.
Quanto pensi sia importante aggiornarsi, valutare diverse tecniche creative e quindi sperimentare? E quanto le collaborazioni con altri artisti ti sono stare utili per avvicinarti ad approcci artisticamente differenti?
La collaborazione con altri artisti, soprattutto stranieri, e ancor di più di altri continenti, è stata importante nella mia crescita. Soprattutto partecipare ad eventi internazionali di graffiti e street art mi ha permesso di conoscere modi di approcciare a questa cultura totalmente differenti rispetto al mio, sia come tecniche, sia come utilizzo di materiali, sia come approccio diretto al muro da dipingere. Ho imparato “trucchi” che mi hanno permesso di velocizzare il lavoro e di renderlo più preciso e immediato. Ho anche capito di essere una goccia d’acqua in un oceano, talmente è vasto questo movimento artistico, con tutti i suoi sottogeneri.
Come in ogni cosa, per poter stare al passo coi tempi, con la tecnologia che migliora di anno in anno, con materiali sempre più tecnici che ti facilitano notevolmente il lavoro, essere aggiornati è fondamentale. Per esempio, è inutile rischiare la vita su una scala, o dover dribblare i ferri di un ponteggio, quando puoi noleggiare una piattaforma elevabile che ti permette di lavorare più sicuramente, velocemente e meglio. Altro esempio, ho da poco scoperto le tavolette grafiche digitali, che ti aprono un altro mondo sulla progettazione grafica di un lavoro, con nuove possibilità di disegnare al computer piuttosto che su carta, con la possibilità di creare effetti che sarebbe quasi impossibile fare a mano libera in un bozzetto di piccole dimensioni.
I Pezzi sui muri hanno spesso vita relativamente breve, salvo rari casi, perché vengono rimpiazzato da altri. Come vivi il fatto di sapere che una tua opera “svanirà”?
Fa parte del gioco, lo metto sempre in conto. L’arte di strada non è eterna, anche se fa sempre piacere rivedere le proprie opere per strada, soprattutto quelle più vecchie. Mi è giusto capitato poco tempo fa di passare dove avevo fatto il mio primo pezzo in assoluto, su un capannone in una zona industriale, e scoprire incredulo che esisteva ancora, ovviamente con i segni del tempo che lo hanno sbiadito. Nelle hall of fame è risaputo che i pezzi non durano per sempre.
Se vai a dipingerci devi accettare il fatto che prima o poi qualcuno ci dipingerà sopra, soprattutto nelle grandi città. A Lisbona ho visto coprire il mio pezzo in una hall of fame in centro città 2 giorni dopo che l’avevo fatto, ma non mi ha dato nessun fastidio, perché lo immaginavo che sarebbe successo.
Mi da invece dispiacere vedere un mio pezzo coperto da qualcuno che conosco senza che questo mi abbia avvisato precedentemente, non lo concepisco, soprattutto se è un writer più giovane di me o se è in una hall of fame che considero “di mia proprietà”. Mi da comunque meno fastidio vedere un mio pezzo coperto da un altro pezzo, piuttosto che vederlo pasticciato da un qualsiasi stupido che ha preso in mano uno spray per la prima volta e si mette a fare ghirigori sul mio pezzo o ci scrive su frasi o parole senza il minimo senso, da ignoranti puri, con il solo scopo di pasticciare e rendere brutto qualcosa che è stato realizzato con tanta fatica, impegno e sbattimento.
Diverso è per le opere su commissione. Anche se pure quelle prima o poi svaniranno, generalmente hanno lunga durata. Però, in generale, i graffiti e la street art non sono fisicamente eterni: lo possono però diventare grazie a una fotografia. Una fotografia che può girare infinitamente nel web, o venire stampata su fanzine o riviste di settore, o più semplicemente venire inserita nel mio book.
Da quando ho iniziato nel 1999, colleziono molto gelosamente tutte le foto di tutte le mie opere. Solo in casi rarissimi non sono riuscito a fotografare una mia opera. Di conseguenza, anche se svaniscono nel mondo reale, non svaniranno mai nella mia memoria e nel mio book.
Se avessi la possibilità di scegliere un luogo in qualsiasi posto nel mondo dove esprimere la tua arte quale sarebbe e perché?
Una chiesa. Non ho il minimo dubbio a riguardo: una chiesa dove si celebra messa, in attività. Il mio sogno è dipingere l’interno di una chiesa, nello specifico tutta una grande parete dietro l’altare, come voglio io, senza vincoli. Possibilmente in Italia, preferibilmente o nella mia provincia (Bergamo) o a Roma. Perché? Forse perché inconsciamente lo vedo un po’ come un’unione tra sacro e profano, tra antichità e modernità. Sicuramente perché tanti grandi artisti del passato hanno dipinto una chiesa, e di conseguenza entrare in questo circolo di eletti. Probabilmente perché penso che sarebbe un’idea molto difficile da far digerire a chi dovrebbe approvarla, e di conseguenza, come l’accettazione totale della mia persona vista come artista e come uomo.
Se invece dovessi scegliere un posto nel mondo dove mi piacerebbe dipingere ne sceglierei 3: la metropolitana di New York, perché è lì che il writing ha preso vita, ma temo che questo non sarà possibile; la Jamaica, perché sono appassionato di musica reggae e mi piacerebbe dedicare un’opera a questa cultura nel suo luogo d’origine; Longyearbyen, nelle isole Svalbard in Norvegia, perché è la città (2000 abitanti circa) più a nord del mondo, oppure meglio ancora Tromso (77000 abitanti, quindi una vera città), sempre in Norvegia, perché ho già dipinto a Ushuaia, nella Tierra del Fuego in Argentina, che è la città più a sud del mondo e vorrei completare la serie con quella più a nord.
Negli ultimi anni gli spazi per creare sono aumentati, dai Muri Liberi ad alcuni permessi concessi dai vari Comuni. Pensi che sia ancora migliorabile questo processo di espansione? Si potrebbe snellire la burocrazia? Cosa manca ancora secondo te per dare maggiore spazio e visibilità al lavoro degli artisti?
Secondo me c’è troppo caos a riguardo. Lavorando spesso con le amministrazioni comunali ho avuto modo di constatare in modo diretto la mancanza di una direzione unica da seguire per fare richieste e ottenere permessi. Ogni amministrazione lavora a modo proprio, quindi diventa più difficile o più semplice, dipende dai casi specifici, ottenere le autorizzazioni.
Dal mio punto di vista, visto che ormai la street art e i graffiti stanno prendendo sempre più piede e sono ormai una realtà affermata in quasi tutte le città, bisognerebbe creare un modulo pre-stampato uguale per tutti, principianti e professionisti , per poter richiedere spazi pubblici. In base poi al progetto specifico richiesto o proposto, bisognerebbe allegare al pre-citato modulo la documentazione più dettagliata necessaria.
Però trovo inconcepibile che, nel 2021 in Italia, non ci sia ancora una modulistica ben definita a riguardo. Trovo anche difficile comprendere come alcune amministrazioni comunali, soprattutto nelle città, siano ancora in difficoltà ad accettare l’idea di concedere spazi pubblici ben definiti dove chiunque possa andare liberamente a dipingere senza un permesso scritto.
Se dovessi dare tre consigli ad un artista che si è avvicinato da poco al mondo del writing e della streetart come espressione artistica, quali sarebbero?
Sicuramente il primo consiglio che darei sarebbe di informarsi molto bene sui rischi a cui si va incontro se si oltrepassa il confine della legalità, perché ho appurato che in molti non lo sanno, ma poi può essere troppo tardi e dannoso scoprirlo direttamente sulla propria pelle (o fedina penale). Se uno è informato a riguardo, se poi decide di rischiare, è una scelta sua, con la consapevolezza del rischio a cui va incontro e delle possibili conseguenze.
Ad alcuni direi di dedicarsi senza dubbio a qualche altra attività, perché la vita degli altri non è un videogioco, né tantomeno un social network, e il danno che un gesto stupido può causare è enorme. Di conseguenza il secondo consiglio che darei sarebbe di dedicare a questo mondo il massimo rispetto, in tutte le sue forme, perché basta un attimo a rovinarsi o a rovinare qualcun altro.
Il terzo consiglio che darei sarebbe quello di essere umili e onesti verso gli altri (committenti, colleghi, rivali, organizzatori di eventi, etc…) perché nessuno nasce maestro, uno può essere più o meno dotato, ma è un attimo passare dalle stelle alle stalle, e più si è in alto più la caduta fa male, perciò un po’ di umiltà può servire, non solo nell’arte, ma nella vita in generale. Dopotutto siamo graffitari e\o street artist, con tutto il rispetto, non Michelangelo o Giotto.
Grazie a William “Wiz Art” Gervasoni per la disponibilità nel raccontarci la sua esperienza artistica.
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